Contro la nostalgia
Il 28 marzo scorso abbiamo visto stringersi la mano Papa Francesco e il Presidente degli Stati Uniti Obama, e li abbiamo visti sorridenti ed emozionati entrambi (di più il secondo). Avevano ragione di essere emozionati, forse anche perché consapevoli di ciò che rappresentano di fronte alla storia: la smentita dell’idea così diffusa che il mondo, col passare del tempo, resta fermo o peggiora. Soltanto cinquant’anni fa in America neri e bianchi dovevano usare tram diversi, e proprio dal rifiuto di una donna nera di rispettare quella regola partì il movimento di riscatto dei discendenti di chi, nei due secoli precedenti, era arrivato in catene dall’Africa. Nessuno, sino a pochi anni fa, avrebbe scommesso sul fatto che un uomo di colore avrebbe potuto ricoprire il ruolo che oggi è di Obama.
Non meno inatteso e nuovo – rivoluzionario, secondo tanti – è quel che sta facendo Papa Francesco con la Chiesa Cattolica: riportarla allo spirito e alla lettera del Vangelo, da cui per troppe volte e per troppo tempo si è tenuta lontana. Con pochi gesti, semplici e grandi (da quel “buonasera” che fu la sua prima parola pronunciata dal balcone di San Pietro, alla rinuncia a tutte le insegne del potere – l’oro, il palazzo, la distanza) questo Papa sta provando a riportare tutta la Chiesa, e non solo qualche suo testimone, dalla parte degli ultimi. Stando al fianco di tutti coloro che – indipendentemente dalla fede o dalle ideologie – hanno a cuore il bene.
Un altro grande processo di cambiamento, tra i tanti che si potrebbero citare, continua ad andare avanti: l’uguaglianza delle opportunità tra uomini e donne. Da questo processo ne potranno derivare solo cose utili e belle per l’umanità intera, e non solo per quella metà del genere umano che sino a qualche decennio era posta in seconda fila.
Se non è troppo, aggiungerei infine che, nonostante tutti i rischi corsi, l’Europa intera non ha l’esperienza della guerra da un tempo che non è mai stato così lungo.
L’insieme di questi processi è reso possibile da qualcosa d’invisibile, che è l’aumento dell’istruzione e della cultura tra fasce di popolazione che prima ne erano escluse. Siamo quindi giunti al termine del progresso, e viviamo “nel migliore dei mondi possibili”?
Sappiamo bene che non è così, e basti citare il problema più grosso, dal quale ne discendono altri mille: la disuguaglianza, che si sta facendo di nuovo drammatica e intollerabile (ed è stato il tema sul quale il Papa e Obama hanno discusso nel loro incontro). Ma per affrontare i grandi e i piccoli problemi che ci riguardano come individui e come comunità, forse ci fa bene e ci dà forza guardare i passi che abbiamo compiuti. Riconoscere, come individui e come comunità, le risorse che abbiamo già dimostrato di possedere – com’è testimoniato dal cammino della civiltà di cui siamo espressione, o da ciò che siamo stati già capaci di fare – ci dice semplicemente che possiamo ancora migliorare, nella direzione che decideremo di dare a noi stessi.
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